MANIFESTAZIONE DI PROVITA AL PANTHEON CONTRO IL DISEGNO DI LEGGE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO

Martedi 14 marzo l’Associazione ProVita Onlus ha organizzato una manifestazione simbolica di protesta di fronte al Pantheon a Roma, contro il testo sulle “Disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) in discussione alla Camera. Gli attivisti di ProVita, travestiti da medici e da pazienti, hanno messo simbolicamente in scena le conseguenze negative della proposta di legge, soprattutto l’obbligo per il medico di sospendere idratazione e nutrizione – facendo morire quindi il paziente di fame e di sete – qualora tale richiesta si trovasse nelle DAT.

La disidratazione induce una grave sofferenza con dolori fisici determinati dalle mucose che dopo alcuni giorni letteralmente si “spaccano”. “Un paziente in coma, stato vegetativo o di coscienza minima, che avesse chiesto con le DAT la sospensione dell’idratazione, quasi sicuramente cambierebbe le disposizioni anticipate e richiederebbe l’acqua per bere. Ma non potrà più comunicare di aver cambiato idea, di non voler morire. Si priva il paziente della libertà di vivere”, ha dichiarato Toni Brandi, presidente di ProVita.

Nessuno sa in anticipo come reagirebbe di fronte ad una grave malattia. Moltissime persone cambiano completamente prospettiva quando arriva una grave disabilità, o persino un coma o uno stato vegetativo, nei quali quasi sempre si manifesta un forte desiderio di vivere.

Sara Virgilio, presente con ProVita e uscita da un coma dopo un terribile incidente ha dichiarato:
“Per quanto riguarda la mia esperienza di coma … percepivo tutto ciò che mi accadeva intorno, sentivo anche quello che i medici dicevano … l’unico problema era che non potevo comunicarlo. E il mio timore era che avrebbero potuto staccarmi le macchine, perché io ero alimentata meccanicamente, avevo il sondino naso-gastrico, ed ero idratata. Ma per me, la mia condizione non era un problema; l’unico problema era riuscire a dire agli altri: non ammazzatemi perché io sono viva”.

Un’altra delle tante testimonianze che non appaiono sui grandi media è quella del milanese Max Tresoldi. Max è stato per dieci anni in stato vegetativo. Egli aveva espresso precedentemente la volontà di non voler vivere se si fosse trovato in uno stato di grave menomazione psicofisica. Tuttavia quando si ritrova realmente in quella situazione, la prospettiva cambia radicalmente. Max, immobile in ospedale, incapace di parlare, sentiva gli altri parlare della sua morte ma senza poter intervenire, senza poter avvisare di voler vivere. È stata la madre a strapparlo alla inevitabile decisione dei medici e a farlo invece curare ed assistere per ben dieci anni di stato vegetativo. Oggi Max dice di essere sempre stato felice di vivere e ritiene assurda la sua precedente dichiarazione di voler morire (DAT).

I medici devono curare tenendo in considerazione le volontà del paziente, ma non divenire meri esecutori, vincolati dalle disposizioni anticipate altrui. I medici non possono procurare la morte né con atti né con omissioni, e devono salvaguardare la libertà di vivere.

Perciò una petizione promossa da ProVita contro le DAT ha raccolto quasi 70 mila adesioni in quattro settimane: deve essere respinta la proposta sulle DAT che introduce la figura del medico senza coscienza, tenuto a far morire per disidratazione, con terribili sofferenze, un paziente che si sia privato, tempo prima e senza una conoscenza concreta della malattia, della libertà di vivere.

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